"Li abbiamo incontrati, abbiamo parlato a lungo con loro, abbiamo conosciuto le famiglie, intuito quanto fosse ramificata la rete delle loro parentele. Abbiamo verificato quello che prima di partire potevamo soltanto immaginare. Ovvero che dei cinesi non si sa niente."
I cinesi non muoiono mai. Lavorano, guadagnano, cambiano l'Italia e per questo ci fanno paura. Chiarelettere, 2008 |
La
quarta di copertina di questo libro sulla presenza della popolazione
cinese in Italia riporta questa frase che racchiude un po' il succo e
il cuore di quello che verrà approfondito ed esplicitato lungo le
circa 230 pagine attraverso le quali si sviluppa il resoconto di un
viaggio che ci porta, dalle Alpi a Matera, sulle tracce di questa
comunità laboriosa e silenziosa della quale sempre più percepiamo
la presenza nelle nostre città .
Infatti,
I cinesi non muoiono mai. Lavorano, guadagnano, cambiano l'Italia
e per questo ci fanno paura è una raccolta di testimonianze e
racconti che il reportage di due giornalisti, Raffaele Oriani e
Riccardo Staglianò, ha portato alla luce.
La
presenza dei cinesi in Italia, per altro una realtà già a partire
dagli anni '30, si porta dietro tutta una serie di luoghi comuni e
stereotipi come quello rievocato dal titolo, secondo il quale i
cinesi non muoiono mai visto che nessuno (o quasi) ha mai visto un
funerale cinese. In effetti non è molto comune assistere a queste
cerimonie ma lo stesso si può dire dei funerali di altre culture
come quella senegalese, marocchina o filippina. Però se “i cinesi
non muoiono mai” non è perché non muoiano davvero, il luogo
comune vuole infatti che sì muoiano, ma che non vengano registrate le
morti per poter dare il via a un traffico di passaporti gestito da
associazioni criminali. Tanto sono tutti uguali, no? Chi si accorge
delle differenze. Poco importa se invece il tasso di mortalità è
basso perché gli anziani e i malati preferiscono tornare in patria e
che i cinesi che intendono migrare, prima di far fronte alle ingenti
spese del viaggio, si sottopongano a minuziosi check up fisici.
Oppure ricordiamo la diceria che vedrebbe i ristoranti cinesi servire
usualmente carne di cane ai loro ignari commensali, ma che da quanto
riportano i controlli effettuati periodicamente dall'ASL è
assolutamente infondata. Per non parlare del pullulare di nuove
aperture di negozi, bar e attività cinesi. Dove prenderanno i soldi?
Sicuramente c'è dietro la mafia.
Questi
e altri stereotipi vengono smascherati e messi a nudo di fronte alla
realtà dei fatti. Si scoprirà così che i soldi che i cinesi
investono nell'apertura di locali e attività provengono da anni di
estenuanti turni di lavoro (che raggiungono anche le 15-16 ore al
giorno) come lavapiatti o a cucire le borse in un soppalco buio, e
dal solido network delle guanxi, che consiste nello
scambio di favori e denaro che si perpetua tra amici e parenti. E che
funziona meglio di una banca.
Si
scoprirà poi che la produzione del riso italiano nel vercellese
prospera e continua nella sua tradizione grazie anche al minuzioso
lavoro della manodopera cinese. La figura della mondina china nella
risaia con l'acqua fino alle ginocchia che canta “Quel mazzolin di
fiori” ormai è stata sostituita da quella dei “mondini”
cinesi, rapidissimi ed efficienti. L'unico
problema riscontrato dai datori di lavoro è l'eccessivo zelo di
questi cinesi che pretendono di poter lavorare per più di dieci ore
al giorno. Immaginatevi la faccia del capo italiano di un gruppo di
cinesi delle risaie a cui era stato intimato di non superare le dieci
ore di lavoro al giorno per evitare malori e salvaguardare la salute, quando si è trovato, il giorno successivo, tutti quanti a dare le
dimissioni con le valige già pronte. Come ci si comporta con dei
lavoratori che vogliono lavorare di più di quanto sia ritenuto ragionevole dalla mentalità italiana?
Che
ne sarebbe poi del settore della pietra a Barge e Bagnolo Piemonte,
in provincia di Cuneo, senza la massiccia presenza di abili
scalpellini cinesi che hanno aiutato a triplicare i ricavi grazie al
loro encomiabile lavoro?
E poi
le dinamiche di Milano, capitale della presenza cinese in Italia,
dove il quartiere Sarpi fa da centro nevralgico per lo sviluppo e la
compravendita di attività cinesi. E quindi Prato, la città più
cinese d'Italia per rapporto abitanti locali e cinesi.
Si
parla anche della sfida e delle aspirazioni dei giovani cinesi di
seconda generazione che dopo la vita di sacrifici condotta dai
genitori si prendono la loro personale rivincita laureandosi nelle
migliori università e intraprendendo carriere di successo.
Insomma
questo libro è utile e interessante per chi vuole farsi un'idea di
quello che fanno e come vivono i cinesi in Italia. Una lettura
scorrevole e istruttiva che ci permette di guardare un po' oltre i
nostri paraocchi, lacerando il velo del pregiudizio che avvolge
questa comunità che silenziosamente si costruisce un futuro senza
paura di mettersi in gioco ed investire sulle nuove generazioni.