Anche
quest'anno è arrivato l'8 marzo, la data in cui è stata fissata la
“Giornata internazionale della donna”, ovvero quella giornata
nata per ricordare ogni anno sia le conquiste sociali, politiche ed
economiche ottenute dalle donne, sia le discriminazioni e le
violenze, verbali e fisiche, di cui sono state e di cui sono tuttora
vittime.
E sottolineo
il tuttora, perché in fin dei conti siamo ancora molto lontani
dall'eguaglianza e dall'effettiva parità dei diritti e delle
libertà . E quando dico questo non mi riferisco, come alcuni staranno
pensando, a lontani Paesi esotici dove, secondo l'opinione comune, le
donne sono sottomesse. Non parlo solo dell'Arabia Saudita e
dell'Iran, parlo anche dell'Europa e dell'Occidente, quell'Occidente
che si autoproclama maestro di civiltà ed esportatore di democrazia.
Dovremmo
quindi iniziare ad aprire gli occhi e guardare un po' di più nel
nostro orticello, smettere di ignorare la realtà e fingere che tutto
vada bene così. Sì, perché anche in Italia la situazione non è
delle migliori.
Innanzitutto
è doveroso un grandissimo ringraziamento alle nostre madri e nonne,
a tutte quelle Donne con la D maiuscola, perché è grazie a loro se
oggi godiamo di una serie di libertà e diritti che fino a qualche
decennio fa non erano nemmeno pensabili. Mi riferisco ad esempio al
diritto di votare, alla libertà di lavorare e di fare il lavoro che
vogliamo, alla libertà di vestirci come vogliamo, alla libertà di
non dover sposare i nostri stupratori secondo quella disumana
istituzione, abolita solo nel 1981, che era il matrimonio riparatore
e a tutte quelle piccole e grandi conquiste che ci hanno fatto
ottenere un po' più di diritti e un po' più di emancipazione.
Cogliamo
quindi l'occasione per esprimere la nostra gratitudine oggi, ma
ricordiamocene tutti i giorni perché è grazie al coraggio di chi
rischia e si mette in gioco per cambiare le cose se poi i cambiamenti
avvengono davvero.
Detto questo
torniamo all'Italia del 2016, un Paese in cui si deve ancora
festeggiare perché per la prima volta è stato formato un parlamento
con il 50% di donne, un Paese in cui ancora in troppi settori le
donne vivono costantemente in una posizione di svantaggio. Uno su
tutti il mondo del lavoro dove ancora oggi una donna che ricopre lo
stesso ruolo di un collega maschio percepisce uno stipendio inferiore
al suo, dove la maternità troppo spesso porta al licenziamento e
dove capita ancora che a un colloquio si venga discriminate se si è
sposate o se si ha una famiglia.
Sono queste e
tante altre le cose che mi fanno arrabbiare e per le quali come donna
mi sento discriminata.
Mi sento
discriminata perché, ad esempio, non posso concedermi la libertà di
camminare da sola per strada dopo una certa ora o in strade poco
frequentate visto che potrei rischiare di essere aggredita e stuprata
e perché, nel caso mi succedesse davvero qualcosa, mi sentirei
ancora dire che è colpa mia, che me la sono cercata, visto che sono
stata così incosciente da camminare sola in una strada buia.
Mi sento
discriminata perché non posso andare a correre da sola al parco
quando calano le tenebre o in zone isolate dove non rischio di essere
investita da una macchina, perché potrebbe esserci qualcuno pronto a
farmi del male appostato dietro un cespuglio, e anche in questo caso
sarebbe colpa mia visto che mi sono messa io in quella situazione.
Mi sento
discriminata perché una donna che lavora nell'ambito della ricerca o
della tecnologia è ancora vista come un alieno, insomma “sono cose
da uomini quelle”.
Mi sento
discriminata perché se metto una maglia scollata o una gonna corta
ci sarà sempre qualche pervertito che per strada si sentirà in
diritto di fare commenti spinti, di fissarmi la scollatura o di
palparmi il culo in un locale. E di cosa ti lamenti? Se ti vesti così
è perché vuoi attirare l'attenzione e sei tu che provochi gli
uomini. Sì certo.
Mi sento
discriminata perché ricordo ancora quella volta in cui un professore
al liceo domandandoci se volessimo andare all'università e a
studiare che cosa, dopo aver ascoltato le risposte, aveva chiesto a
una mia compagna di classe se era pronta ad intraprendere il lungo
percorso di studio per diventare medico rinunciando o mettendo per
lungo tempo da parte l'idea di avere una famiglia. Perché non ha
fatto la stessa domanda ai miei compagni maschi? Perché non ha
nemmeno preso in considerazione che avrebbe potuto conciliare le due
cose se avesse voluto? Anche queste sono forme di discriminazione,
una discriminazione forse più sottile perché meno percepita. Ma non
per questo meno pericolosa.
Mi sento
discriminata perché se sei una donna il tuo posto è la cucina.
Cucina per tuo marito che torna dal lavoro, cucina e non rompere,
quello è il tuo dovere. E poi paradossalmente i grandi chef, quando
in fin dei conti c'è da far carriera, sono quasi tutti uomini. E se
non sai sfornare manicaretti allora non troverai mai un uomo che ti
voglia sposare, e se non hai per forza il desiderio di sposarti non
sei tanto a posto.
Mi sento
discriminata perché sugli assorbenti è ancora imposta un'IVA del
22% come se fossero beni di lusso, neanche mi stessi comprando un
tablet o l'ultimo iPhone.
Mi sento
discriminata perché se fai carriera, anche se sei palesemente più
brava di altri colleghi uomini, chissà chi ti sei scopata per
arrivare fin lì. E nessuno prende nemmeno in considerazione che
magari il tuo capo è una donna.
Mi sento
discriminata perché “le donne non sanno guidare”.
Mi sento
discriminata perché se sei donna sei troppo stupida per capire cos'è
un fuorigioco.
Mi sento
discriminata perché se ti arrabbi per qualcosa e alzi la voce
qualcuno si sente in diritto di dirti “ma cos'è, hai le tue cose?”
senza nemmeno avere il coraggio di chiamare le mestruazioni con il
loro vero nome.
Mi
sento discriminata perché qualcuno ancora crede che ci siano "lavori
da uomo" e "lavori da donna".
Mi sento
discriminata perché dei parlamentari si permettono di mimare gesti
di pratiche sessuali rivolti a una collega che sta esprimendo
un'opinione.
Mi sento
discriminata perché se hai aspirazioni, anche solo momentaneamente,
diverse dal mettere su famiglia e sfornare una decina di figli non
sei normale.
Mi sento
discriminata perché se sei donna e non sei madre sei una donna
incompleta, perché secondo qualcuno solo l'esperienza della
maternità ti rende donna al 100%.
Mi sento
discriminata perché ancora oggi ci sono difficoltà per poter
interrompere legalmente una gravidanza negli ospedali pubblici di
tutto lo stato, almeno che il Ministro della sanità non sollevi un
polverone mediatico per garantire che una legge esistente venga
applicata.
Mi sento
discriminata perché “dobbiamo difendere le nostre donne” e noi
non siamo vostre né di nessun altro. E forse non abbiamo bisogno
della vostra difesa visto che la maggior parte delle violenze che le
donne subiscono in Italia vengono messe in atto da persone facenti
parte della cerchia familiare: mariti, compagni, fidanzati, amanti. E
non da estranei.
Mi sento
discriminata per tutte queste e per tante altre cose.
Mi vergogno
profondamente anche di vivere in un Paese dove una donna, iscritta
all'albo dei giornalisti, pubblica un libro che si intitola “Sposati
e sii sottomessa”, in cui ricorda alle donne che per tenersi un
uomo devono sottostare a tutto ciò che lui dice. Mi vergogno di
vivere in un Paese in cui se una donna viene violentata, la gente
invece di condannare senza nessuna attenuante possibile lo
stupratore, si chiede come fosse vestita la donna e se abbia fatto
intendere all'uomo qualcosa di diverso. Almeno che lo stupratore non
sia straniero, allora lì è una questione di culture diverse e
culture che non contemplano il rispetto per la donna. E quindi ha
ragione Salvini, ovvio.
Sono invece
orgogliosa se penso a Samantha Cristoforetti che ha dimostrato
all'Italia che una donna è in grado di essere scelta per
un'importante missione spaziale per i suoi meriti, tra chissà quanti
altri candidati. Se penso a sportive, scrittrici, giornaliste,
ricercatrici e politiche che ogni giorno sono pronte a dimostrare
quanto valgono e che non sono inferiori a nessuno. Penso anche a madri, operaie, lavoratrici di ogni settore, a tutte quelle
che ogni giorno si ammazzano di fatica per poter garantire un
presente e un futuro migliore alla propria famiglia. Penso alle donne curde che ogni giorno sono in prima linea a lottare contro l'IS e per la libertà del proprio popolo.
Chiamatemi pure femminista se femminismo significa desiderare e pretendere la parità di genere in ogni settore e ricordatevi che "le femministe" non odiano gli uomini come qualcuno crede, le femministe vogliono semplicemente un mondo migliore per tutti nel quale ogni persona abbia pieni diritti.
Chiamatemi pure femminista se femminismo significa desiderare e pretendere la parità di genere in ogni settore e ricordatevi che "le femministe" non odiano gli uomini come qualcuno crede, le femministe vogliono semplicemente un mondo migliore per tutti nel quale ogni persona abbia pieni diritti.
Quindi mi
rivolgo a tutte le donne: il cambiamento parte anche da noi, lottate per
quello che volete e per poter essere chi volete essere. Andate
controcorrente senza farvi intimorire da niente e da nessuno se
"controcorrente" è la vostra strada.
E a voi
uomini, se siete quelli che commentano “cagna” sotto alle foto di
qualche modella, se siete quelli di #escile, se siete quelli che
picchiano la moglie, se siete i datori di lavoro che licenziano chi
si mette in maternità usufruendo di un proprio diritto, se siete
quelli che fanno commenti a sfondo sessuale e sessisti a ragazze che
nemmeno conoscono, se siete uno di questi soggetti, allora evitate di
farci gli auguri e di regalarci le mimose.
P.S. Oggi è il compleanno di Roberta, una delle lettrici più affezionate di questo blog e se non le faccio gli auguri anche qua mi ucciderà . Quindi tanti auguri!